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Una sera, durante l'inverno del 94 , mi sono trovato fortunatamente nello stesso locale dove, pochi minuti dopo, avrebbe iniziato a suonare Tom Harrell.
Si spengono le luci e iniziano a suonare, Tom Harrell non è sul palco, entra mentre l'introduzione musicale procede.
Mi ricordo che il passo e la postura di Tom Harrell, accompagnato sottobraccio da uno dell'organizzazione, dava proprio l'idea di handicap, ricordo di aver pensato: è fuso, non c'è più, è lobotomizzato!
Con un rituale asincrono rispetto al contesto e alla musica, Tom Harrell ha percorso tutta la sala, lentamente, tenendo sempre la testa leggermente inclinata verso destra, è salito sul palco e, molto lentamente, sempre con la testa leggermente inclinata, ha portato la tromba in posizione, sulle labbra.
Poi…. via!
Solo il ricordo che ho ora, mi fa pensare che tutto era perfetto, che era tutto giusto, la musica, i movimenti, l'asincronismo.
Perfetto, non poteva essere altrimenti, tutto partecipava all'opera.
Ma in quel momento, lo sguardo fisso, perso nel vuoto, immobile, di Tom Harrell, hanno preso il sopravvento sulla sua opera e per i primi 4-5 pezzi ho fatto molta, molta, molta fatica.
Il vincolo, la risorsa, 2 concetti interscambiabili e potentissimi.
Solo il trasformare il vincolo impostomi dalla schizofrenia di Tom Harrell in risorsa mi ha poi permesso di godere della musica che il sistema così organizzato poteva offrire, e come per tutte le opere d'arte, anche la sua musica di quella sera parlava di me, di me in quel momento, di me oggi.
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